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Comune di Opera

La fonte storica più antica che attesta l’esistenza di una località chiamata Opera risale al 1280 ed è dovuta a Goffredo da Bussero. Questi, prete di nobile famiglia, nel suo “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” ricorda “in plebe Locate, in Mirasolum, ecclesia S. Mariae […] in plebe Locate… Loco Ovari, ecclesia S. Petri”. Lo stesso toponimo latino di “Overa” si rinviene nel nome della vicina frazione di Noverasco, togliendo il suffisso “sco” solitamente caratterizzante nomi di origine preromana (come bergama–sco, crema–sco, ecc.) e togliendo un “in prepositivo” agli inizi dell’espressione “IN–OVERA–SCO”.

Fin dall’Alto Medio Evo (per esempio nei capitolari di Carlo Magno) la parola Opera aveva il significato giuridico di Fabbriceria o Fabbrica: dunque l’espressione “Overa S. Petri” usata da Goffredo da Bussero potrebbe alludere alla “fabbriceria di un eventuale monastero di S. Pietro” (così D. Olivieri, Dizionario di Toponomastica Lombarda, Milano, 1961), di cui peraltro mancano documenti.
Tanto Opera quanto Mirasole erano luoghi della ”Plebe Locate”, oggi Pieve Emanuele. Della Plebe, centro religioso e amministrativo, si conosce una documentazione già al tempo di Carlo Magno, agli inizi del secolo IX. Si conosce anche il nome (Andrea) dell’arciprete di Pieve in quel tempo, sotto il quale vivevano altri preti per il servizio religioso nei centri minori. Questi, al tempo di Goffredo da Bussero, erano Opera, Mirasole, Locate, Mulazzano, Fizzonasco, Nesporedo, Quinto Stampi, Rozzano, S. Maria alla Fontana, Torriggio, Vicentino e due altri paesi o cascine chiamate Botedo e Selvanesco. Tutti questi centri erano dotati di una chiesa alla quale venivano i sacerdoti dipendenti dalla Pieve.

Dunque gli abitanti di Opera, nei secoli passati legati a Milano per i problemi più importanti, nel XIII secolo convergevano a Pieve per le piccole incombenze quotidiane: i battesimi, i mercati, l’amministrazione della giustizia. Dalla Pieve, come detto, provenivano inoltre i loro sacerdoti per i doveri pastorali.
Mirasole merita un discorso a sé. Per oltre quattro secoli, dal 1200 fino al 1571, vi fiorì una “domus fratrum Humiliatorum”, le cui vicende interessano vivamente la storia, l’arte e l’economia.
Gli Umiliati, già esistenti nel XIII secolo, ebbero uno sviluppo sorprendente nelle campagne del Sud Milano. Sotto il loro nome, che rifletteva la loro origine popolare e la loro autentica fede nell’organizzazione religiosa, si costituirono numerose comunità di preti (primo ordine); gruppi misti di uomini e di donne sotto la regola religiosa (secondo ordine); e finalmente un terzo ordine di quanti, pur accettando la regola, non potevano abbandonare la famiglia.
Oltre a una rigida professione di povertà e di continenza, caratteristica del movimento fu quella di guadagnarsi il pane col lavoro delle proprie mani. Si creò un’ingente organizzazione religiosa, squisitamente milanese e artigiana, che raggiunse notevole ricchezza con la lavorazione della lana, che si diffuse nelle campagne alleviandone la miseria.
Gli Umiliati hanno lo straordinario merito di aver saputo, con la loro intelligente iniziativa, trasformare l’artigianato della lana in una specie di industria, in quanto raccolsero e razionalizzarono in una perfetta organizzazione le fasi di lavorazione fino ad allora divise e sparse, utilizzando perfino i cascami che servivano per prodotti più scadenti ma accessibili anche ai poveri.

Diverse testimonianze confermano che, dopo il centro rurale di Viboldone, la casa di Mirasole deve senz’altro essere considerata il più importante complesso produttivo degli Umiliati. In tal senso si esprime, per esempio, il più antico catalogo delle case dell’ordine redatto nel 1298 dal maestro generale dell’ordine fra Guidotto Riboldo, che ricorda inoltre le sei case cittadine situate nei tradizionali rioni corrispondenti alle sei principali porte delle mura che difendevano Milano (Orientale, Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina e Nuova).
Nel secolo XIV si ebbe il massimo sviluppo dell’ordine e della stessa casa di Mirasole. Il Tiraboschi sulla scorta di un catalogo redatto intorno al 1340 segnala come presenti nella casa di Mirasole ben 29 frati, 11 sorelle e 4 domestici, tutta gente che attendeva alla lavorazione della lana.
La produzione eccedente i bisogni della comunità e delle popolazioni vicine veniva venduta a mercanti milanesi, che provvedevano a smerciarla sui diversi mercati vicini e lontani, perfino in quelli d’oltralpe. I centri produttivi della campagna dovettero perciò aprire a Milano succursali di deposito e di commercio: si ebbero così nella città le numerose “domus humiliatorum”, che si distinguevano con il nome del paese dove risiedeva la casa originaria.

La “Notizia Cleri Mediolanensis”, pubblicata nel 1900 a cura dell’Archivio Storico Lombardo, ricorda che la “domus fratrum humiliatorum de Mirasole” era dotata di una cappella dedicata al Salvatore (dedicazione di origine longobarda, come ricorda Goffredo da Bussero nel documento già citato) e si trovava in località s. Pietro all’Orto (via tuttora esistente nel centro di Milano). La stessa fonte ricorda che la succursale cittadina degli Umiliati pagava al governo dei Visconti una tassa di 258 libbre, che è una delle più alte tra i quattrocento tributi previsti, a conferma dei lauti proventi ricavati dai frati.
Nel seguente secolo XV la casa degli Umiliati di Mirasole non riesce a sottrarsi al generale fenomeno del decadimento progressivo dell’ordine, troppo ricco e troppo dedito al lusso e alla mondanità. Nel 1567 S. Carlo Borromeo presiede a Cremona il capitolo generale degli Umiliati e con l’appoggio di Papa Pio V prescrive rigide direttive per la riforma della vita religiosa e il risanamento finanziario dell’ordine.
Poiché la situazione appare risanabile, e per stroncare la sorda opposizione alla riforma da parte dei più eminenti esponenti dell’ordine, Pio V pubblica nel settembre del 1570 la bolla di soppressione dell’ordine stesso.
La casa di Mirasole, con le sue proprietà e i suoi beni, fu attribuita al nuovo seminario che si stava costruendo a Milano per la formazione dei futuri sacerdoti destinati all’apostolato nei paesi svizzeri protestanti. La bolla di Papa Gregorio XIII che assegna la prepositura di Mirasole al collegio elvetico è del 1° marzo 1582.

Nel frattempo, su sollecitazione degli abitanti che si impegnano a provvedere al futuro curato con i proventi della chiesa cui aggiungeranno le elemosine delle funzioni e le libere offerte, nel 1568 si avvia l’erezione canonica della parrocchia, ben definita nel suo territorio e svincolata dalla prevostura della Pieve. Quando S. Carlo arrivò personalmente per la sua visita pastorale a Opera nel giugno 1573, la parrocchia era ormai giuridicamente costruita nel senso moderno del termine.
Un documento dell’epoca indica in 81 il numero delle famiglie operesi, per 402 abitanti di cui 240 adulti obbligati alla comunione e confessione annuale.
Mirasole rimase per oltre due secoli proprietà del collegio elvetico, finché l’8 giugno 1797 Napoleone Bonaparte, vinti gli austriaci nella campagna d’Italia, decretò la soppressione del collegio e il passaggio della proprietà di Mirasole, con tutte le sue sostanze, all’Ospedale Maggiore di Milano, che la detiene ancor oggi.